Carriere precluse

Ho sempre pensato che, qualora tutte le strade lecite non fossero andate a buon fine, mi sarei sempre potuto dedicare alla malavita. Il fascino oscuro della criminalità. Di sera ballerino di tango nelle balere con signore di mezza età, nel fine settimana altruista e integerrimo benefattore dedito al volontariato. Ma nei giorni lavorativi un abile rapinatore gentiluomo: di quelli che fanno sedere le donne incinte, che tranquillizzano le signore anziane, che non sottraggono risparmi ai pensionati. E che devolvono una parte del bottino ad opere di beneficenza. Ingresso trionfale in banca, una rosa e un baciamano alla cassiera, la richiesta di qualche spicciolo. E poi puff. Sparito nel nulla. Insomma, una via di mezzo tra Robin Hood, Diabolik e Don Lurio (per il fatto della galanteria). Bene. Tutti questi sogni sono stati spazzati via. In pochi secondi. Mentre ero sul luogo di una rapina (vera, ma ovviamente non mia) si parlava del più e del meno con un paio di poliziotti. Due chiacchiere come al solito, in cui io ho la malaugurata idea di esporre i miei propositi malvagi. E arriva la risposta, come una doccia ghiacciata: "Ma te non potresti mai fare il rapinatore. Alto così, ti becchiamo subito". Una girandola di sentimenti si impossessa di me: un chiaro segnale di razzismo? un provvidenziale avvertimento fraterno? una strada che inevitabilmente mi viene preclusa? Asciugo le lacrime col dorso della mano e ostento sicurezza, nonostante senta in lontananza un rumore, come di biscotti che si sbriciolano. E' il mio sogno represso che si frantuma.